Gli oggetti stampati in 3D con resina liquida sono tossici?


Gli oggetti stampati in 3D con resina liquida sono tossici?

Lo temono dei ricercatori che ne hanno provato la sicurezza su embrioni di pesce zebra. Ma prima di allarmarsi servono altri studi


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di Nicola Quadri
Con la riduzione dei prezzi e delle dimensioni degli apparecchi, il mondo della stampa 3D diventa ogni giorno più accessibile e allarga il suo mercato, che entro il 2020 dovrebbe superare i 15 miliardi di dollari l’anno. Ma mentre questa tecnologia entra in uffici, scuole e laboratori di ricerca, ancora poco si sa riguardo la tossicità e l’impatto ambientale dei materiali utilizzati nel processo di stampa, i cui ingredienti sono spesso sottoposti a segreto aziendale. Uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology Letters, firmato da un gruppo di ricercatori della University of California Riverside, rivela la tossicità per alcuni pesci degli oggetti stampati con resina liquida e chiede maggiori precauzioni nel loro uso e smaltimento.
La ricerca nasce a fine 2014, quando una giovane studentessa in tesi presso il laboratorio di bioingegneria di William Grover alla University of California Riverside, decide di utilizzare una stampante 3D per fabbricare alcuni strumenti di laboratorio. Nel giro di poco tempo si accorge però che l’uso degli strumenti così realizzati si accompagna a un’anomala incidenza di decessi tra gli embrioni di pesce zebra su cui fa ricerca.
Guidato da Grover, il gruppo decide di svolgere un test di tossicità. Per farlo, più di 400 embrioni di pesce zebra vengono messi a gruppi dentro delle capsule di Petri in compagnia di piccoli dischetti stampati in 3D. Le stampanti utilizzate nello studio sono di due tipi: la prima fonde un tipo particolare di plastica, in acronimo Abs, e lo deposita per estrusione su un piano caldo; la seconda sfrutta una tecnologia più recente e veloce, la solidificazione attraverso luce laser di un composto di resina liquidafotosensibile. È proprio il prodotto di questa seconda tecnica di stampa a risultare particolarmente tossico per gli embrioni di pesce. Se dopo 7 giorni di osservazione, 60 embrioni su 100 sono sopravvissuti se messi in compagnia del disco realizzato con la plastica fusa, mentre nel caso del disco in resina quasi nessun embrione è vivo e i restanti presentano gravi malformazioni. A titolo di paragone, nel gruppo di controllo (embrioni lasciati soli nella capsula di Petri) dopo 7 giorni di osservazione sopravvivono in media 80 embrioni su 100. Sempre a titolo di paragone, plastiche come la Pet (usata per i contenitori di alimenti) o il polistirene, con cui vengono in genere prodotti le capsule di Petri, sono del tutto innocui.
Secondo il gruppo di ricercatori la tossicità della resina liquida solidificatanon è una sorpresa. “La chimica coinvolta in un processo simile, in cui si trasforma un liquido in un solido irradiandolo con della luce laser, non è un gioco”, spiega William Grover, a capo della ricerca. “Sono processi in cui si producono sostanze notoriamente dannose e che richiedono di essere smaltite con attenzione”.
La tossicità sembra essere dovuta alla produzione di alcune molecole chiamate acrilati o metacrilati, che sporgono, singole o in catena, dall’oggetto stampato alla fine del processo di produzione. La presenza di queste catene di molecole può essere ridotta irraggiando l’oggetto stampato con della luce ultravioletta per una trentina di minuti. Lo studio dimostra infatti che gli oggetti così trattati risultano sostanzialmente innocui. Nell’attesa che simili procedure diventino lo standard, i ricercatori auspicano che i prodotti delle stampanti 3D a resina liquida vengano usati con particolare cautela nella ricerca biologica e medica, in quanto possono alterare i risultati delle ricerche, e che vengano smaltiti in modo responsabile nell’ambiente, così come l’acqua utilizzata per pulire gli oggetti dopo la stampa o la stampante stessa.
Prima di poter parlare della pericolosità di questi oggetti per l’uomo sono però necessarie nuove ricerche, su cui il gruppo di ricercatori californiani si è già messo all’opera. La sostanza, almeno senza essere trattata con luce ultravioletta e considerati i suoi componenti, è possibile che faccia male anche all’uomo, ma non è questo il punto. Tante sostanze, anche naturalmente presenti in frutta e verdura, sono tossiche, come laformaldeide contenuta in piccole quantità in pere e mele. Ciò che conta è la dose a cui le sostanze tossiche diventano pericolose (la formaldeide contenuta nella frutta è 60 milligrammi per chilo, una dose insignificante). Occorre insomma attendere altri studi. Nel frattempo gli autori suggeriscono attenzione e buon senso. “Le stampanti 3D sono come piccole fabbriche dentro una scatola”, continua Grover. “Trattiamo queste stampanti come se fossero dei tostapane, ma non lo sono”.
La necessità di usare in modo responsabile le stampanti 3D e non come i giocattoli che a volte sembrano, riecheggia i risultati di un altro studiopubblicato a fine 2013 su Atmospheric Environment. Un gruppo di ricercatori dell’Illinois Institute of Technology aveva misurato le emissionidi particolato prodotte dalle stampanti 3D a plastica fusa e aveva messo in allarme sull’utilizzo di questi apparecchi in ambienti piccoli e non attrezzati con sistemi di ventilazione o di aspirazione adeguati. La stampa aveva dato un certo risalto alla notizia, a volte con toni un po’ esagerati considerata la conclusione dello studio, secondo cui il livello di inquinamento in particolato fine prodotto dalle stampanti 3D è analogo a quello prodotto dalla cottura di carne sui fornelli da casa. Ironicamente però siamo abituati ad accendere la cappa aspirante sopra i fornelli quando cuciniamo, mentre nessun sistema di aspirazione è venduto assieme alle stampanti 3D, i cui fumi sono molto meno appariscenti di quelli prodotti da un hamburger.
("Gli oggetti stampati in 3D con resina liquida sono tossici?", Wired, 24 Novembre, 2015.

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